CIMO-FESMED diffida la Conferenza delle Regioni

Contratto medici e dirigenti sanitari, CIMO-FESMED diffida la Conferenza delle Regioni per la mancata emanazione dell’atto di indirizzo

 

Quici: “Speriamo che il ritardo delle Regioni non sia causato dal mancato accantonamento delle risorse per i rinnovi contrattuali”


Guido Quici, Presidente Federazione CIMO-FESMED_03_03_2022Roma, 3 marzo 2022 – La Federazione CIMO-FESMED ha inviato una lettera di diffida alla Conferenza delle Regioni e delle Province autonome per provvedere all’emanazione dell’atto di indirizzo per il rinnovo contrattuale della dirigenza sanitaria del triennio 2019-2021. Un contratto quindi già scaduto, per il quale l’Aran e le organizzazioni sindacali non possono avviare le trattative proprio a causa dell’incomprensibile ritardo delle Regioni.

 

«Le aspettative per i nuovi contratti del personale sanitario sono altissime, considerate le numerose difficoltà che i colleghi hanno dovuto affrontare negli ultimi due anni – dichiara il Presidente della Federazione Guido Quici -. E l’urgenza di arrivare ad un accordo con i sindacati è forte sia per il comparto che per la dirigenza sanitaria. Non capiamo tuttavia la ragione per la quale i dirigenti sanitari debbano attendere la firma del contratto del comparto per avviare la propria trattativa. Si tratta di una mera tradizione, senza alcun fondamento legislativo, che è tempo di modificare. Medici e dirigenti sanitari non possono più attendere il rinnovo di un contratto peraltro scaduto: per questo abbiamo diffidato la Conferenza delle Regioni».

 

La Federazione CIMO-FESMED ha evidenziato più volte l’enorme disagio vissuto negli ospedali pubblici di tutto il Paese. Ha spiegato le ragioni che portano alla crescente frustrazione che serpeggia in corsia. Ha dimostrato quanto sia alto il desiderio di fuggire dal Servizio pubblico, non solo a causa di retribuzioni inadeguate rispetto al resto d’Europa – che rendono estremamente più allettante trasferirsi all’estero o dedicarsi alla libera professione -, ma anche per la pressocché completa assenza di prospettive di carriera: basti pensare che tra il 2009 ed il 2019 si sono persi 3.465 posti da direttore di struttura complessa e 8.168 posti da responsabile di struttura semplice. Un appiattimento dei ruoli causato dal taglio dei posti letto e delle strutture, per cui un medico rischia di dover ricoprire lo stesso incarico per tutta la sua vita professionale.

 

«Un nuovo contratto – continua Quici – che preveda un adeguamento delle retribuzioni, che sia realmente esigibile, che migliori le condizioni di lavoro e che includa incentivi per una vera progressione della carriera sarebbe quindi uno strumento importante per cercare di rendere nuovamente attrattivo il lavoro in ospedale. Un contratto, quindi, da stipulare il più presto possibile. Speriamo solo che il ritardo delle Regioni non sia causato dal mancato accantonamento delle risorse per i rinnovi contrattuali: l’aumento della spesa sanitaria causata dal Covid-19 non può infatti giustificare la carenza di risorse per rinnovi contrattuali previsti dalla legge».

 

«Senza un contratto adeguato e una riforma dell’organizzazione ospedaliera che torni a prevedere la possibilità di premiare chi lo merita, tra fughe ed errori di programmazione rischiamo di ritrovarci con ospedali senza medici, e di vedere quindi amplificata su scala nazionale la necessità di affidare i servizi alle cooperative private, di accontentarci di personale senza formazione qualificata, di far scadere la qualità di un SSN che, nonostante tutto, il mondo continua ad invidiarci. Se vogliamo che il nostro Servizio sanitario pubblico torni ad entusiasmare i medici già in attività e ad attrarre le nuove generazioni di professionisti – conclude Quici – occorre agire adesso».


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