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PNRR, Cimo Fesmed: Per la sanità poche risorse e nessuna vera riforma

Nella Missione 6 per il Sindacato dei Medici, desta allarme “la dicotomia tra la destinazione dei fondi e la reale volontà di rilanciare il nostro Ssn, nonostante il covid abbia ben evidenziato i veri punti di debolezza del nostro sistema salute, insieme al suo valore centrale per il Paese e la coesione sociale”.

Dopo tanta enfasi sulla resilienza e rilancio del nostro Paese, ecco che in sanità la montagna, il Governo e mesi di dibattiti, hanno partorito uno smilzo topolino. Sembrerebbe che la pandemia, tra le mille difficoltà dei pazienti e dei sanitari, tra i milioni di contagiati e le centinaia di migliaia di morti non sia servita a far comprendere che la sanità italiana non ha bisogno di interventi di “manutenzione” ma di un vero processo di riforma. È quanto sostiene la Federazione dei medici Cimo Fesmed che sottolinea “sono state ignorate le vere priorità, quali la revisione del Fondo Sanitario Nazione, la governance stato-regioni della sanità, la rivisitazione dell’organizzazione delle filiere di assistenza sanitaria e degli ospedali da incentrare sul ruolo dei medici”.

 

Nella Missione 6 del Pnrr, per il Sindacato dei Medici, desta allarme “la dicotomia tra la destinazione dei fondi e la reale volontà di rilanciare il nostro Ssn, nonostante il covid abbia ben evidenziato i veri punti di debolezza del nostro sistema salute, insieme al suo valore centrale per il Paese e la coesione sociale. Nel testo compaiono solo parole come rafforzare e rilanciare, che preoccupano proprio perché sottendono la visione per cui l’attuale sistema sanitario debba essere semplicemente riequilibrato”.

 

Per la Federazione “è necessario un “cambio di passo” del Paese sulla sanità, certo in linea con i temi chiave delle strategie della Comunità Europea – ad iniziare dall’ecosistema innovativo della salute, all’ambiente, al rinnovo tecnologico, all’implementazione dei digital device; ma siamo costretti a prendere atto che i vari progetti contenuti nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza si basano su una vecchia logica organizzata sugli attuali “silos”. Come Federazione Cimo Fesmed riteniamo che il Pnrr non possa prescindere da una rivisitazione del Fondo Sanitario Nazionale, sia rispetto alla sua composizione (oggi ricomprende dal costo della siringa, al costo dei contratti, alla farmaceutica, veterinaria, assistenza, ecc.), che alle modalità di riparto tra le regioni.

 

Al tempo stesso riteniamo che occorre rivedere l’autonomia delle regioni perché il Covid ha chiaramente dimostrato come la prevalenza delle “logiche” politiche ed economiche rispetto alle necessità di salute dei cittadini, abbia fortemente condizionato i processi decisionali tra le diverse aree di un’Italia e fatto regredire le capacità di assistenza e cura. Se neppure la pandemia è stata in grado di affidare al Dicastero competente il ruolo di attore principale, riteniamo che sia totalmente miope, in un cronico contesto di diseguaglianza per l’accesso alle cure, un utilizzo di nuove risorse a favore di una sanità organizzata ancora in “silos” e soprattutto frammentata.

 

Il Pnrr manca inoltre l’obiettivo di rivedere la Governance delle strutture sanitarie e certamente l’accento sullo sviluppo di competenze manageriali del personale evidenzia che si vuole mantenere l’attuale trend di aziendalizzazione della sanità pubblica senza porsi il problema di rilanciare una modalità di gestione delle strutture ospedaliere e territoriali attraverso veri strumenti di governo clinico delle attività.

 

È possibile recuperare terreno solo rivedendo i modelli organizzativi. Non ci convincono – prosegue Cimo Fesmed – le 1.288 Case della Comunità, le 602 Centrali Operative Territoriali, i 381 ospedali di Comunità, il potenziamento dei soli posti letti di terapia intensiva e subintensiva negli ospedali, perché occorre preliminarmente disegnare la “filiera” dell’assistenza al paziente immaginando che le interconnessioni, tra le varie fasi, non possano dipendere esclusivamente dalla digitalizzazione o dalla telemedicina, ma devono essere strettamente legate al ruolo dei professionisti della medicina.

Il modello delle Case e degli Ospedali di Comunità è insufficiente e rischia di fallire se la medicina di prossimità non si realizza attraverso team di professionisti che ricomprendono i medici di medicina generale, medici specialisti e sanitari e, in un contesto più esteso, anche il ruolo del medico ospedaliero diventa parte integrante del processo di cura soprattutto durante le fasi di ricovero e di follow up.

 

Ed è inoltre necessario rivedere l’organizzazione degli ospedali. La pandemia ha, di fatto, impedito a gran parte delle strutture ospedaliere di curare le altre patologie e nei prossimi anni, purtroppo, se ne vedranno le tristi conseguenze. Sicuramente la sicurezza delle cure passa attraverso un ammodernamento degli edifici e delle tecnologie, ma è la mission dell’ospedale che deve essere aggiornata. Pochi posti letto, poco personale, poca flessibilità organizzativa, troppa burocrazia. Nel Piano – conclude Cimo Fesmed – non si legge nulla che possa davvero dare vero rilancio ad una tipologia di assistenza, quella ospedaliera, che ha sempre dimostrato resilienza”.


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