L’epidemia non ha insegnato nulla alla politica

20 MAG – Gentile Direttore,
 
l’esplosione della normativa nazionale e locale legata al Sars-Covid2 ha, di fatto, disorientato i cittadini e, nel settore della sanità, ha aumentato il disagio professionale e umano dei sanitari, sommandosi ad un impegno pressoché totalizzante ad affrontare il virus in prima linea. In questi mesi abbiamo assistito ad un balletto di provvedimenti e iniziative che tutto hanno fatto fuorché dare un concreto riconoscimento ai medici. Proviamo qui a riepilogare cosa sia accaduto e stia ancora accadendo.

 

La pandemia è stata affrontata dai medici del SSN in un contesto che sconta 10 anni di sottofinanziamento, con accordi contrattuali oggi ancora da definire o definiti in modo penalizzante. Durante la prima fase della pandemia, i medici e i sanitari hanno affrontato l’impatto letteralmente a mani nude e a volto scoperto, con disposizioni dell’ISS del tutto non condivise. In quelle concitate settimane, sono stati richiamati in servizio medici pensionati, e qualcuno di loro ci ha lasciati per colpa del virus. E quando il Governo ha chiesto la disponibilità di 800 medici volontari, hanno risposto in 8.000; e tanti giovani medici anche non specialisti sono entrati negli ospedali senza strumenti di difesa, non sono in termini di DPI, ma soprattutto di formazione, affiancamento, ecc.

 

Nel frattempo, sono stati utilizzati in reparti Covid, con disposizioni di servizio, medici specialisti di altre branche, che non potevano essere adeguatamente preparati e tutelati; in tante aziende il personale medico e sanitario è stato minacciato, verbalmente o con atti scritti, di sanzioni disciplinari nel caso in cui avessero contestato le disposizioni delle direzioni, tra alcune delle quali anche di evitare le mascherine; in altri casi, si è verificato qualche trasferimento “anomalo” di medici in altre strutture, proprio quelli che avevano contestato le disposizioni; ed, intanto, iniziavano a proliferare, in modo deontologicamente scorretto, i primi contenziosi contro i medici ad opera di avvocati o studi legali.

 

Cosa fare, allora? Almeno ipotizzare una norma legislativa che mettesse al riparo i medici da rivalse in tema di responsabilità? Ma la stessa si è arenata quando è emerso pubblicamente che la volontà del legislatore era anche, e soprattutto, quella di mettere a riparo le strutture sanitarie (ovvero le amministrazioni) inadempienti sul tema di sicurezza del lavoro. Un dibattitto tuttora aperto che, se verterà sulla tutela delle strutture sanitarie, significherà impedire un equo risarcimento per i colleghi morti da coronavirus in servizio, giacché ridurrebbe la “pratica” ad un semplice indennizzo.

 

Ed ecco che, invece di sanare questa ferita e tutelare i medici esposti in prima linea, il Governo pensa bene di dare corsia preferenziale alla salvaguardia della Protezione Civile, introducendo uno scudo legale nella conversione in legge del decreto “Salva Italia”. Nel testo si legge, tra l’altro, che “tali atti sono altresì sottratti alla Corte dei Conti”.

E mentre a parole tutti danno riconoscimenti ai medici, nei fatti alcuni – che rappresentano una minoranza del 20% – si accordano per spartire le risorse aggiuntive accordate al personale sanitario dal Cura Italia: nelle scorse settimane, infatti, una sola Parte Sociale (CGIL, CISL e UIL) concorda con il Ministero della Salute il “protocollo di prevenzione e sicurezza dei lavoratori della sanità” e, con la Conferenza delle regioni, raggiunge un accordo sulle modalità di distribuzione di risorse al personale sanitario. Né il Ministro Speranza, né il presidente Bonaccini delle Regioni incontra, nonostante richieste ufficiali, i Sindacati della dirigenza medica e sanitaria che, di fatto, rappresentano l’80%.

 

Intanto, nelle scorse settimane tutte le regioni hanno avviato un confronto con i Sindacati, ratificando i precedenti accordi che alla fine penalizzano i medici, con l’obiettivo di premiare anche quanti hanno avuto solo un ruolo di supporto, come il personale sanitario, magari lavorando a distanza e fuori dalle aree di contagio. Questo confronto si è trasformato in uno scontro, che vede il sindacato dei medici CIMO-FESMED intimare a mezzo di diffida il rispetto delle disposizioni legislative e quasi tutti i sindacati a contestare accordi mai riconosciuti.

 

Il Governo tenta poi di correre ai ripari con il “Decreto Rilancio”, che introduce una nuova indennità, questa volta a favore solo del personale infermieristico per la “presa in carico dei pazienti Covid” (10 milioni) e modifica la precedente Legge 27/2020, prevedendo una trasformazione del finanziamento straordinario da lavoro straordinario a fondo incentivante, dandolo a favore di chi opera in particolari condizioni di lavoro ed estendendo il beneficio dai sanitari a tutto il personale dipendente del SSN. Una vera e propria marmellata, spalmata in modo opaco e senza differenziazioni su chi ha rischiato tutto e chi niente. Le modalità? A discrezione di regioni e aziende.

 

Come se non bastasse, si è aperto un altro fronte che vorrebbe penalizzare i medici nella possibile ripresa delle attività delle attività ordinarie, negando loro la possibilità di esercitare la libera professione anche nella cosiddetta Fase 2. Anche qui, la reazione di CIMO-FESMED non si è fatta attendere per difendere un diritto stabilito da specifiche norme, ed ha intimato Regioni e aziende sanitarie di non mettere in atto comportamenti difformi dalle disposizioni di legge o che siano basato su un uso pretestuoso delle prerogative datoriali pur di compensare le proprie evidenti carenze organizzative.

 

E per non farsi mancare nulla, la pioggia di fondi per gli ospedali Covid-19 non solo è stata “calcolata male”, vale a dire con fondi insufficienti (in difetto per almeno 1-1,5 miliardi ) e senza prevedere come e dove trovare il personale medico e sanitario necessario a tutti i nuovi posti di terapia intensiva, ma dimostra che la lezione dell’epidemia non ha ancora insegnato alla nostra politica che abbiamo bisogno di una “vera riforma del SSN”, a partire da una revisione e nuovo finanziamento dei Lea, aumentando la quota di prevenzione, di assistenza sul territorio e il personale specializzato. E se non ora, quando? Noi non arretriamo, continuiamo a insistere e a vigilare. Affinché le medaglie siano quelle che conquistiamo per il presente e il futuro del servizio sanitario.

 

Guido Quici
Presidente CIMO-FESMED


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