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Ricorso alla CEDU (Corte Europea dei Diritti dell’Uomo) nel contesto delle azioni in difesa dei diritti dei pensionati

 

Quanto segue è frutto di considerazioni e valutazioni sviluppate a livello tecnico con i nostri consulenti legali

 

Sono pervenute a CIDA ed alle Federazioni aderenti numerose segnalazioni da parte di colleghi pensionati, relative ad annunci-inviti da parte di studi legali per promuovere un’azione innanzi alla CEDU sul tema della mancata rivalutazione delle pensioni 2012–2013.

 

Dalle informazioni disponibili si tratterebbe di ricorsi alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo volti a far valere un presunto danno causato dall’incidenza di una norma avente effetto retroattivo. Trattasi del c.d. decreto Poletti successivo alla sentenza della Corte Costituzionale n. 70 del 2015.

 

In primo luogo va chiarito che tali notizie non si riferiscono ad una sentenza della CEDU ma ad un passaggio procedurale effettuato dalla cancelleria della stessa  CEDU il cui tema di riferimento non è comunque quello della mancata applicazione della perequazione automatica.

 

In secondo luogo, di fronte a questa situazione che sta suscitando perplessità ed interrogativi fra gli iscritti, va detto con chiarezza che l’ipotesi prospettata di un ricorso alla CEDU implica che ciascun ricorrente, individualmente, abbia già esperito tutti i rimedi consentiti dalla legislazione italiana (presentare e presenziare ad almeno tre gradi di giudizio). Requisito questo che riteniamo pochissimi o probabilmente nessuno potrà vantare, tenuto conto del fatto che sono intervenute nel frattempo due sentenze della Consulta e che, perfino coloro che sono giunti fino ad essa, dovrebbero in teoria attendere una sentenza di primo grado e poi proseguire nei successivi gradi di giudizio (appello, cassazione) prima di poter esperire il tentativo presso la CEDU. Appare quindi poco fondata l’ipotesi che possano fare ricorso alla CEDU perfino coloro che hanno spedito le raccomandate all’INPS per il mancato adeguamento della perequazione.

 

Inoltre, ci preme sottolineare che il riferimento al 31 gennaio 2018 – quale data limite per l’adesione all’iniziativa giudiziaria – è un termine posto da alcuni studi legali per questioni di natura gestionale interna delle istanze, che non ha nulla a che vedere con il termine previsto dalla normativa europea per la presentazione di un eventuale ricorso alla CEDU che, invece, è quello dei 6 mesi dalla data di pubblicazione della sentenza della Consulta (2 dicembre 2017).

 

Si ricorda infine, che l’eventuale pronuncia favorevole della Corte Europea avrebbe validità solo nei confronti del singolo ricorrente, per cui gli effetti positivi di tale sentenza non si estenderebbero ad altri soggetti, anche se nelle stesse condizioni giuridiche del ricorrente che avrebbe vinto il ricorso.

 

CIDA e le Federazioni associate hanno esperito, a tutela dei pensionati, tutti i percorsi istituzionali e legali invece previsti proprio per spiegare effetti positivi per tutti gli interessati (come quelli proposti innanzi alla Corte Costituzionale) ed intendono proseguire la loro attività di tutela usando tutte le forme di contrasto e di proposta consentite.

 

Il sistema di rappresentanza continuerà a difendere i diritti dei pensionati e ad opporsi ad ogni tentativo di cambiare la legislazione in vigore, ai loro danni. Su tale tema è aperto un confronto serio e fermo con i Partiti nell’ambito della campagna elettorale, per chiedere risposte ed impegni precisi.

 

In conclusione, ogni ulteriore percorso a questo punto residuale e di carattere individuale – come quelli proposti innanzi alla CEDU sinora noti – non può che restare una valutazione discrezionale che il singolo pensionato deve considerare in ragione degli oneri conseguenti, non stimabili, delle lungaggini della Giustizia e, aggiungiamo, degli esiti assolutamente incerti.

 

Nota CEDU