Si apre il 31° Congresso Cimo. L’ultimo di Cassi presidente: “La mia eredità? Un sindacato dalle idee forti e costruttive”

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Dopo due mandati al timone del sindacato e 38 anni di militanza, il presidente della Cimo, pronto a passare il testimone, apre a Firenze il Congresso nazionale elettivo dal titolo #Liberalaprofessione “Tra scienza medica e medicina amministrata”. In questa intervista a Quotidiano Sanità traccia un bilancio dell’attività sindacale svolta nella costante difesa della professione e per il riconoscimento di uno stato giuridico che riporti l’atto medico al centro delle cure 

 

Irrinunciabilità del ruolo medico, della progressione di carriera fondata sulla competenza professionale e di un’autonomia giuridica e contrattuale. Sono questi i pilastri della politica sindacale della Cimo che ha visto protagonista per due mandati consecutivi Riccardo Cassi. Otto anni non facili per la categoria medica e per il sindacato.
 
Con obiettivi raggiunti e anche occasioni mancate che però non hanno mai fatto perdere di vista la mission che il sindacato si è dato fin dalla sua fondazione: difendere la professione medica. Non è un caso quindi che lo slogan scelto per il trentunesimo congresso nazionale, che si apre oggi a Firenze, sia #Liberalaprofessione. Proprio ad indicare la necessità di difendere la professione riportandola al centro delle cure e liberandola dai lacci della burocrazia. In questa intervista abbiamo tirato le somme con il presidente uscente.

 

Dottor Cassi 38 anni in Cimo e 8 anni di presidenza. Un percorso lunghissimo. Cosa ha voluto dire fare sindacato in questi anni di cambiamenti importanti per il servizio sanitario italiano e in particolare per i medici?
Sono stati anni impegnativi in cui abbiamo cercato di riportare la figura del medico al suo ruolo professionale per farla uscire dalle secche dell’omologazione che la dirigenza ha creato e sta creando. Una battaglia costante in difesa della professione e per il riconoscimento di uno stato giuridico che riporti l’atto medico al centro delle cure. Una mission che è sempre stata nel Dna della Cimo, e che mi ha fatto credere fortemente in questo sindacato. Di ostacoli ne abbiamo avuti tanti: la crisi economica del Paese con tutte le conseguenti e pesanti ricadute sulla sostenibilità del Ssn, le tante risorse bruciate dopo la modifica del Titolo V che ha acuito il divario tra Nord e Sud, il blocco del turnover, la mancanza di un rinnovo contrattuale e via discorrendo. Un lungo elenco di eventi che ormai conosciamo tutti e che ha prodotto una popolazione medica vecchia, demotivata, senza prospettive di carriera in uno scenario che per di più ha visto cambiare radicalmente l’atteggiamento dei cittadini nei confronti della sanità e nei confronti dei medici. Non è un caso che dal nostro sondaggio sia emerso che circa quattro medici su dieci abbiano un atteggiamento difensivo verso i cittadini. Che lo siano verso l’amministrazione ci sta, ma verso i cittadini è preoccupante. Un campanello di allarme che fa capire quanto questa professione sia stata messa a dura prova. Una categoria che ora chiede di vedere riconosciuta la propria professionalità. Di avere un’autonomia giuridica e contrattuale. Fare sindacato in questi anni si è quindi tradotto in una continua azione di sostegno alle esigenze dei medici.
 
Che sindacato consegna quindi al suo successore?
Nonostante la crisi che in generale ha indebolito tutte le forze sindacali, credo di lasciare un sindacato più forte. Non abbiamo avuto un incremento notevole delle iscrizioni rispetto a quelle che potevano essere le nostre aspettative, ma abbiamo intessuto una serie di alleanze convergenti sulle nostre idee nel campo della dipendenza del Ssn, ma anche in quello della medicina convenzionata. Un tassello importante quest’ultimo, perché la divisione tra medici dipendenti e convenzionati, molto forte e ancora non superata, credo sia uno svantaggio per tutti.
Soprattutto abbiamo riportato l’attenzione sulla questione dell’atto medico e della leadership medica su cui si aperto negli ultimi anni un dibattito costruttivo. Siamo riusciti a puntare i riflettori sull’importanza di introdurre una valutazione qualitativa dell’attività clinica con indicatori certi e condivisi, basati su volumi di attività ed esiti e non su budget aziendali. Un tema che è stato introdotto nell’Articolo 22 del Patto per la salute, nell’atto di indirizzo del Ccnl e anche nella piattaforma degli altri sindacati. E ancora, abbiamo riconquistato l’area medica, una nostra grande battaglia.
 
Occasioni perse? 
Aver mancato il passaggio fondamentale dell’articolo 22 del Patto per la Salute che doveva dare una cornice legislativa e rimodulare lo stato giuridico del medico con posizioni molto vicine a quelle della Cimo. Ma tirando le somme posso dire che i temi storici della Cimo sono diventati oggetti di discussione tra tutte le parti in campo e hanno avuto anche un riconoscimento positivo da parte delle Regioni e del Ministero della salute.
 
Cosa augura al nuovo Presidente?
Di riuscire a mantenere un consenso intorno ai temi che fanno parte del Dna del nostro sindacato per estenderli anche alla controparte. Certo, l’augurio più grande è che possa trovarsi ad operare in un contesto politico economico migliore che consenta, attraverso i contratti e un migliore quadro normativo, di recuperare la figura professionale del medico. Anche perché abbiamo bisogno di nuove riforme soprattutto il momento in cui abbiamo perso la grande occasione del referendum costituzionale che avrebbe portato anche alla Riforma del Titolo V.
 
Un’ultima domanda. La stagione del rinnovo contrattuale sta per entrare nel vivo. Cosa si aspetta?
Considerando gli scenari fin ora emersi? Direi che non mi aspetto proprio nulla. Senza modifiche dello stato giuridico del medico e senza risorse non ci si può aspettare nulla.
 
Ester Maragò