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Comma 566, Cassi (Cimo): non togliere al medico competenze sulla diagnosi

CASSI_CIMO--258x258[1]«Io non so cos’abbia intenzione di fare la politica sul comma 566, ma è chiaro, come ha detto il Ministro della Salute a Rimini, che se medici e infermieri non dialogano e non abbandonano le rispettive frange estremiste quest’estate passerà e ci approssimeremo ai contratti con problemi irrisolti». Riccardo Cassi presidente del sindacato ospedalieri Cimo dice la sua sull’ipotesi di cambiare il comma 566 della finanziaria 2015, quello che aprirebbe alla possibilità che gli infermieri svolgano attività rivendicate unicamente dai medici. In un’intervista all’house-organ dell’Anaao Assomed la senatrice Emilia Grazia De Biasi presidente della Commissione Sanità ha invitato a superare l’attuale norma, e ad eliminarne le ambiguità sancendo da una parte la centralità del medico e dall’altra valorizzando infermieri e altri professionisti sanitari. «C’è un problema più grande dietro il comma 566 – riflette ora Cassi – è ambiguo tutto il sistema normativo, intervenuto “sulle” professioni sanitarie senza tener conto delle connessioni tra queste e le attività dei medici. Più che mai occorre far chiarezza sui rapporti reciproci.

 

Si è poi introdotta una separazione fuorviante, quella tra medico che fa diagnosi e terapia e infermiere che fa assistenza, come se fossero due binari paralleli. Ma come si fa assistenza se a monte non ci sono diagnosi e terapia? E come si può evitare che chi fa diagnosi e terapia valuti se l’assistenza è adeguata ad eventuali cambiamenti introdotti nella terapia?» In contemporanea all’intervista di De Biasi, Cassi rilevava come nell’atto d’indirizzo dei contratti per la dirigenza medica le regioni abbiano introdotto un riferimento alla disciplina delle professioni infermieristiche (legge 251/2000): un modo di ricordare la priorità alla valorizzazione degli infermieri? «Ho la sensazione che le regioni di fronte al blocco del comma 566 abbiano deciso di superare la questione per perseguire la loro strada da sole», dice Cassi.

 

«Le regioni mirano ad avere più personale meno pagato rispetto ai medici. È un tentativo dovuto a motivazioni economiche: inoltre non sono tutte d’accordo e s’è creata un’anarchia che rende improcrastinabile una riforma costituzionale tesa a dare un equilibrio dal “centro”. Il vero nodo è che i cittadini chiedono garanzie, vogliono sapere chi esegue prestazioni sanitarie su di loro e questo indirizzo normativo non lo consente. Va identificato con chiarezza cosa devono fare i professionisti sanitari nelle reciproche connessioni delle loro attività. Così com’è irrinunciabile che nelle équipe interprofessionali la leadership sia del medico: sei anni di università e cinque di specialità sono un biglietto da visita eloquente». Il comma 566 affida ai medici competenze su atti complessi e specialistici di prevenzione diagnosi e cura e terapia, mentre per gli altri sanitari un accordo stato-regione individuerà nuove competenze, ruoli, relazioni professionali e profili di responsabilità individuali e d’équipe.

 

«Tutti probabilmente si rendono conto che è stato scritto in modo errato: in medicina se vogliamo non esiste un atto semplice. Siamo di fronte a una scrittura fasulla con la quale qualcuno intende togliere al medico competenze sulla diagnosi. E certe regioni con il see & treat ed altre procedure lo hanno fatto, hanno dato all’infermiere competenze diagnostiche. Non è facile tornare indietro. A fronte di un comma 566 bloccato c’è una politica che ha messo in stand-by la definizione di atto medico che avrebbe sgombrato il campo da molte difficoltà interpretative». E ora? «I rapporti tra professioni vanno risolti eliminando posizioni estremiste, e non possiamo essere noi sindacati a farcene portavoce per i medici ma la Fnomceo, trattandosi di temi strettamente professionali. I contatti con gli infermieri ci sono, vanno incrementati, alla fine un compromesso che rispetti tutti si troverà e lì ci si dovrà fermare e mettere nero su bianco».