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INDAGINE CIMO ASMD: TUTTI I COSTI RC DEGLI OSPEDALI AZIENDA (IL SOLE SANITA’)

Aziende ospedaliere: se non si forma il personale, soprattutto nelle strutture dove le tecnologie sono essenziali per la diagnosi e cura, si riduce la qualità delle prestazioni e aumenta la possibilità che si possano verificare eventi avversi. Se si investe poco in manutenzione soprattutto dove ci sono tecnologie di peso, il rischio aumenta in modo esponenziale.

Ma l’aumento del rischio porta a un aumento dei possibili eventi avversi, che significa aumento del contenzioso e, quindi, incremento dei premi assicurativi in un mercato complesso, non sempre trasparente e certamente non standardizzato quando si vanno a definire i premi. Una vera e propria spirale che si osserva soprattutto nelle Regioni sotto piano di rientro, indotte a investire meno proprio su queste voci di spesa. A esempio il Lazio spende mediamente 93,25 euro l’anno per dipendente di formazione e ha costi medi assicurativi annui di oltre 2mila euro per dipendente, o la Campania che rispetto a una spesa media di 78,61 euro per la formazione e 9mila euro per la manutenzione spende circa 1.200 euro di assicurazione, mentre in Toscana per la formazione la media è 220 euro circa, quasi 12mila euro per la manutenzione e solo 286,84 euro per l’assicurazione.

Questi i risultati di un’indagine della Cimo-Asmd che sarà presentata domani a Roma in un convegno su «La sicurezza delle cure: il ruolo del sindacato» (Hotel Massimo d’Azeglio, ore 9,30) e che è anciticipata su Il Sole-24 Ore Sanità n. 20/2013. L’indagine è sui costi di produzione sostenuti nel 2010 (ultimo anno i cui bilanci sono certificati a consuntivo), per assicurazioni (Rc professionale e strutture), formazione dei dipendenti e manutenzione di stabili e tecnologie e secondo il vice presidente Cimo Asmd Guido Quici che ne è l’autore, «in un’ottica di sicurezza delle cure investire in questi settori può assumere una valenza strategica rilevante soprattutto se si considera che circa l’85% di eventi avversi è legato a problemi di natura organizzativa e la qualificazione dei professionisti e la sicurezza delle strutture hanno un ruolo prioritario nella prevenzione del rischio».

Quici ha incrociato le voci di spesa desunte dai modelli Ce con i posti letto effettivamente occupati e con i dipendenti in servizio presso ciascun ospedale. Per i modelli Ce le voci interessate sono:
– premi di assicurazione (con le sottovoci Rc Professionale e altri premi assicurativi);
– formazione (con le sottovoci da pubblico e da privato);
– manutenzione e riparazione (ordinaria, degli immobili, di mobili e macchine, di attrezzature tecnico-sanitarie, di automezzi).

Sono stati esclusi i presìdi ospedalieri delle Asl perché i costi dichiarati nei modelli Ce comprendono anche i costi sostenuti per i distretti, ambulatori, Rsa ecc. Ne consegue l’esclusione dall’indagine degli ospedali della Valle d’Aosta, Abruzzo e Molise che non hanno aziende ospedaliere.
Nel complesso l’indagine riguarda 113 strutture di cui 96 aziende ospedaliere e universitarie e 17 Irccs per un totale di 19.179 posti letto attivi e 254.265 dipendenti.

Costi per la formazione.I costi di produzione considerati sono quelli effettivamente dichiarati dalle singole aziende; tuttavia in 10 Regioni si osserva che, rispetto al “consolidato regionale”, sono stati allocati costi di produzione nella cosiddetta voce “accentrata regionale”. In alcuni casi l’importo è considerevole, come a esempio per la Regione Campania che presenta un “consolidato regionale” di 17.189 euro e una “accentrata regionale” di 14.119 euro. Ne consegue che il costo di produzione reale sostenuto per la formazione delle aziende sanitarie e ospedaliere campane è solo 1.323 euro. Analoghi casi per Basilicata, Umbria, Liguria. La tabella 2 è riepilogativa delle Regioni interessate.
Anche in questo caso si è proceduto, per ogni struttura ospedaliera, al ribaltamento dei costi della formazione sul numero totale dei dipendenti in servizio per rilevare il costo pro capite. Da qui la possibilità di calcolare il costo medio per singola Regione.

«Emerge con chiarezza – spiega Quici – che gran parte delle Regioni, oggetto di piano di rientro, utilizzano sempre meno risorse per la formazione del personale. Ne consegue che, in un’ottica di tagli, la formazione rappresenta una delle prime voci di bilancio su cui intervenire. Pur tuttavia l’evoluzione tecnologica delle strutture sanitarie e in particolare delle aziende ospedaliere e universitarie, intesa anche in termini di nuove procedure interventistiche e/o terapie innovative, richiede una costante attività formativa dei professionisti che si sostanzia, non solo, nella formazione continua Ecm ma anche attraverso il mantenimento delle competenze, il retraining, l’addestramento e la formazione sul campo».

Costi per la manutenzione ospedaliera. Nel modello Ce sono riportate le voci: manutenzione ordinaria, immobili, mobili, macchine, attrezzature tecnico-sanitarie, automezzi e “altro”. È stato individuato, come parametro di riferimento, il rapporto tra costi di manutenzione e posti letto effettivi. Anche per questa voce, ma in modo più contenuto, sono stati individuati, alla voce “accentrata regionale” costi di manutenzione non ben definiti.
Naturalmente, per le spese di manutenzione degli immobili occorre tenere presente dell’epoca di costruzione della struttura ospedaliera, se la struttura è articolata in padiglioni o a monoblocco, se sono stati effettuati interventi manutentivi antisismici e altro.

Analogo discorso per la manutenzione delle attrezzature sanitarie i cui costi devono tenere conto della vetustà o meno del parco tecnologico o, viceversa, della dotazione o meno di tecnologie di avanguardia che, in ogni caso, necessitano di contratti di manutenzione particolarmente onerosi. In assenza di ulteriori elementi di valutazione appare interessante la distribuzione dei costi tra le varie tipologie di manutenzione, in gran parte ripartiti tra immobili e attrezzature sanitarie.

«Dall’analisi dei dati – commenta Quici – emerge un aumento consistente dei costi aziendali per la manutenzione delle tecnologie sanitarie rispetto ai precedenti anni, costi che sono anche legati ai processi di innovazione nel settore. In particolare si osserva un maggior impiego di risorse da parte delle strutture ospedaliere del Nord; viceversa maggiori risorse sono state destinate nella manutenzione degli immobili da parte delle Regioni del Centro Italia».

Costi assicurativi. Comprendono la voce “Rc professionale” e la voce “altre tipologie di assicurazione”. Mediamente la spesa sostenuta per la Rc professionale rappresenta l’80% della spesa totale. Entrambi i costi di produzione sono stati ribaltati, per singolo ospedale, sul numero dei dipendenti in servizio presso la struttura. Preliminarmente si precisa che il costo assicurativo di ogni singola struttura ospedaliera risente di una serie di variabili tra cui:
– la centralizzazione o meno, su base regionale, dei contratti assicurativi (si veda Toscana);
– il rischio assunto da ciascuna azienda, ovvero il valore della franchigia che, in alcuni casi, supera il milione di euro;
– la casistica dell’ospedale (dalla tipologia della struttura e delle attività al case mix, alle procedure chirurgiche e/o interventistiche ecc.);
– il rapporto tra complessità dei casi trattati ed esiti di salute;
– la quantificazione del contenzioso in atto;
– gli aspetti organizzativi in essere (unità di rischio clinico, la commissione valutazione sinistri);
– la capacità negoziale del management.

I dati dimostrano l’estrema eterogeneità dei costi medi per singolo dipendente e tale disomogeneità è evidente non solo in ambito nazionale, ma anche tra le aziende della stessa Regione.

«Naturalmente – illustra Quici – il dato era atteso anche in considerazione delle variabili prese in considerazione nelle premesse, da qui la necessità di rivedere globalmente la problematica attraverso una maggiore trasparenza circa la definizione dei premi assicurativi. La stessa Corte dei Conti ha affermato che «alcune forme di “autoassicurazione” predisposte da qualche azienda sanitaria non sembrano essere una soluzione ottimale; sarebbe probabilmente più utile e opportuno un intervento legislativo». In particolare occorre rendere obbligatoria l’assicurazione Rc professionale, favorire la centralizzazione dei contratti su base regionale unitamente alla centralizzazione dei flussi informativi sui sinistri e, soprattutto, definire uno standard di riferimento per il calcolo dei premi assicurativi anche attraverso l’analisi dei flussi informativi in materia di contenzioso».