Mef e Regioni artefici delle diseguaglianze del diritto alla salute. Va recuperata la centralità dello Stato


L’indagine condotta dalla Euro Index Consumer Health nel 2016, che colloca l’Italia al 22° posto in Europa su 35 sistemi sanitari europei, non sorprende affatto perché rappresenta l’evidenza di una sanità in grave difficoltà che, per la prima volta, ha visto anche l’inversione del trend di crescita dell’aspettativa di vita degli italiani.

 

Una sanità che “stenta” per due ordini di motivazioni : perché continua ad essere considerata un costo e non un fattore produttivo ma, soprattutto, perché manca un progetto di salute che sia in linea con i processi di cambiamento epidemiologici, scientifici, economici e culturali. 

 

Nel primo caso, non è tanto la spesa sanitaria nazionale stimata nella misura del 6.8% del PIL, ma il divario della stessa spesa tra i cittadini di regioni diverse quantificabile nella misura del 33,4%; il tutto in un contesto che vede la popolazione italiana diventare sempre più vecchia e dove l’ultimo decennio è stato caratterizzato da un incremento degli ultra 75anni del 25% ma, al tempo stesso, da un aumento del 45,7% dei pazienti in cattiva salute per la stessa fascia di età.

 

La politica del MEF di questi anni, fatta di tagli lineari e piani di rientro, ha fortemente condizionato le scelte sanitarie tutte dipendenti dalle varie Leggi finanziarie o di stabilità che hanno inciso, in modo determinante, sulla sostenibilità del sistema salute ma anche sui principi di universalità delle cure fino a regolamentare, vedi comma 566, la vita lavorativa di chi opera nel settore sanitario. L’evidenza dei risultati ottenuti dai vari piani di rientro, assolutamente necessari ha, purtroppo, mostrato come l’eccessivo rigore della politica economica sia stata la causa dell’ulteriormente abbassamento dei livelli di assistenza nelle regioni interessate impedendo l’accesso alle cure secondo standard qualitativamente rispondenti ai bisogni di salute dei cittadini.

 

Al tempo stesso, in un contesto che vede la sanità pesare nella misura del 72,9% sulla spesa corrente dei bilanci regionali, l’eccessiva autonomia delle regioni ha consentito l’implementazione di politiche sanitarie troppo autoreferenziali ed, in ogni caso, svincolate dai principi di equità tra tutti i cittadini italiani. Regioni che interpretano e non applicano gli standard ospedalieri, regioni che finalizzano le proprie azioni al solo contenimento della spesa del personale, regioni che non intendono ridurre i costi della politica.  

 

In altre parole la sanità italiana non si trova solo a pagare i costi della politica nazionale ma si è fatta carico, in questi anni, di sostenere i costi di 20 politiche regionali fatte, anche, di mancate chiusure di strutture sanitarie poco sicure, di procedure di acquisto per beni e servizi prive di processi di standardizzazione dei costi, di ricorso a consulenze non sempre giustificabili ed altro.

 

L’indagine EICH rappresenta, quindi, l’ennesimo “campanello di allarme” di una sanità italiana in grave difficoltà ma, al tempo stesso, è lo stimolo per aprire una seria discussione sulla necessità di avviare un importante processo di riforma dove l’attore principale non può che non essere lo Stato.

 

GUIDO QUICI  –   Vice Presidente Vicario CIMO


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