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Liste d’attesa, Studio Cimo: recupero lento e le Regioni non pagano il dovuto ai medici

Ospedali e ambulatori ancora off limits per i pazienti non Covid: c’è il rischio di non trovare tuttora posto dopo un anno e mezzo di pandemia che ha strappato via reparti, sale operatorie, ore di specialistica e screening. Lo Stato lo scorso anno aveva distribuito alle regioni 500 milioni (478 per la precisione) per ridurre le liste di attesa. L’uso di tali risorse è stato prorogato al 31 dicembre 2021. Le regioni dovrebbero usarle per retribuire il personale medico e non medico che lavora più del dovuto, così da recuperare il pregresso sotto forma di prestazioni aggiuntive, inclusa l’attività chirurgica. Ma poche incentivano nel modo giusto questa attività svolta dal medico ospedaliero su base volontaria, come dimostra un’indagine conoscitiva del coordinamento Cimo-Lab del sindacato medici ospedalieri Cimo-Fesmed.

 

«Abbiamo intervistato i 20 segretari regionali Cimo (19 regioni ed una provincia autonoma)», dice Cristina Cenci responsabile del coordinamento. «Senza voler entrare nel merito delle scelte aziendali, emerge comunque l’assenza di trasparenza ed informazione sul corretto uso delle risorse, proprio mentre si alza il grido d’allarme dei cittadini per i lunghi tempi di attesa delle prestazioni». Il coordinamento ha scoperto che solo sette regioni applicano la tariffa previsa dalla legge per l’attività accessoria in tempo di pandemia, pari ad 80 euro orari. «In altri 10 casi, invece, per la stessa finalità le regioni utilizzano l’articolo 115 comma 2 del contratto 2016-2018, che tratta le attività aggiuntive come ordinarie retribuendole con 60 euro l’ora e quindi non solo dando un’interpretazione erronea e illegittima ma anche svilendo il valore aggiunto, condiviso dal governo, di questa attività tesa a recuperare con lavoro extra delle prestazioni la cui urgenza cresce nel tempo. Tre regioni, infine, al proprio interno consentono situazioni diverse da un’azienda all’altra: alcuni ospedali pagano 60 euro orari ed altri 80 e in tal modo le giunte infrangono la legge abbandonandone l’interpretazione al libero arbitrio del direttore generale». Aggiunta interessante: «Cinque delle sette regioni che pagano le tariffe in modo adeguato sono al Nord, una al Centro ed una al Sud; le 7 regioni che invece non hanno ancora scelto un indirizzo uniforme, per contro, sono tutte al Sud».
Che le risorse statali non siano state ancora ben spese non è un mistero. Un’indagine del think tank Salutequità, i cui numeri sono stati ripresi da Fnomceo in audizione al Ministero della Salute, riporta che le rispettive quote parti dei 478 milioni sono state utilizzate per poco più della metà al Centro e per poco meno al Nord, e solo al 4% al Sud! Comune a tutte le regioni, peraltro, nei “reportage” dei delegati Cimo, è l’assenza di trasparenza nelle risposte. La Federazione intende chiedere accesso agli atti presso le singole giunte e le aziende sanitarie: un atto di “forza”, per conoscere le modalità di assegnazione e gli eventuali residui. Cimo Fesmed invierà inoltre diffide presso le corti dei conti regionali, perché il denaro destinato alle cure dei malati potrebbe essere stato perso o male utilizzato. La mancata collaborazione delle giunte instilla un’altra “paura” tra i medici. «Non vorremmo, a questo punto, che a qualche politico “illuminato” venga nuovamente l’idea di fronteggiare il problema delle liste d’attesa bloccando l’attività libero professionale del medico, provvedimento del tutto influente e demagogico, ma chiaro segnale di non voler utilizzare queste risorse per aiutare i cittadini», afferma il presidente della Federazione Cimo Fesmed Guido Quici.

 

Dettaglia Cenci: «Al momento in nessuna regione è bloccata la libera professione intramuraria, ma alcune si starebbero muovendo in tal senso, in particolare Umbria e Trentino; non è certo questa la strada per recuperare ore da dedicare all’attività istituzionale a favore dei pazienti del Servizio sanitario in attesa. L’Alpi in media ammonta ad un 2-4% dell’attività ordinaria. Inoltre, le statistiche ci dicono che dove la libera professione è più sviluppata si attende mediamente di meno. Accusare i medici per l’attività libero professionale svolta “in competizione” con quella istituzionale non solo è sbagliato, ma distoglie il cittadino dal punto centrale, che le regioni non hanno speso i soldi destinati a farlo stare meglio. E tanto questo è vero in quanto ci sono regioni che all’indomani del rapporto Salutequità hanno innalzato il compenso orario da 60 a 80 euro!» Più in generale, aggiunge Quici, «in troppe regioni le attività aggiuntive sono state avviate tardi. In alcune sono partite questo mese di novembre, il che impedisce di fatto il completo uso dei fondi». Cimo Fesmed reputa indispensabile una proroga dei termini di utilizzo dei 478 milioni dopo il 31 dicembre 2021, così da consentirne il pieno impiego a favore di chi attende da troppo tempo.

 

Mauro Miserendino

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