Recovery Fund. Speranza apra il confronto con il mondo della sanità

 

11 SET – Gentile direttore,
la relazione del Ministro Speranza, svolta ieri in sede di audizione alla commissione Affari Sociali della Camera, fa intravedere per la nostra sanità una piccola luce in fondo al tunnel, per due ordini di motivi: ancora tre mesi per proporre alla Commissione Europea un Piano organico di proposte per le risorse del Recovery Fund che sia all’altezza delle aspettative e l’apertura di un confronto tra lo stesso Ministro e le controparti sociali.

 

CIMO-FESMED ritiene in particolare molto valida questa nuova opportunità per aprire un dibattito che possa consentire al Ministro di comprendere appieno le vere aspettative dei cittadini e dei professionisti nei confronti di un sistema sanitario che non necessita di una costosa manutenzione ma di un coraggioso e radicale cambiamento strutturale, costruito su una visione organica e complessiva, in linea con la profonda evoluzione sociale, epidemiologica, demografica e tecnologica degli ultimi 40 anni.

 

Nel merito, come CIMO-FESMED valutiamo positivamente l’opportunità del Recovery fund, né abbiamo pregiudizi sull’accesso al MES, entrambi utili per supportare questo urgente cambiamento (se non ora, quando?) ma siamo fortemente preoccupati di fronte al rischio che l’utilizzo dei fondi europei sia gestito con una visione di corto respiro e con effetti puramente “verticali”, senza risolvere quei problemi che hanno caratterizzato la sanità degli ultimi anni. Con il rischio di avere un “saldo negativo” nelle tasche dei cittadini.

 

Se pure l’analisi e gli obiettivi esposti dal Ministro della Salute in Commissione sono del tutto condivisibili, ciò che davvero manca è il motore. In sostanza, l’On. Speranza ha confermato quanto denunciato per anni da CIMO e FESMED, cioè che la sanità italiana è stata oggetto di una “lunga stagione di tagli”, che la sanità è sempre stata “considerata un costo e non una risorsa” e che, negli ultimi anni, è stata progressivamente ridotta l’offerta ospedaliera senza potenziare l’offerta territoriale nonostante – aggiungiamo noi – che tra il 1985 e il 2001 la ripartizione del FSN a favore dell’assistenza ospedaliera sia scesa, in modo stabile, dal 59,8% al 44%, rimanendo poi sostanzialmente fermo a quel livello, se non inferiore.

 

Proprio per tali considerazioni e partendo dal concetto di territorio e sanità di prossimità, si ha la percezione che il cosiddetto primo asse verticale (prevenzione-territorio-sanità di prossimità) sarà potenziato in termini di risorse ma resterà immutato in termini di organizzazione. Una visione che teme il cambiamento, certamente lontana da una necessaria controriforma auspicata in questi anni da molti esponenti del mondo sanitario ad iniziare dall’esperto Ivan Cavicchi.

 

Analogo discorso riguarda il secondo asse verticale (ospedale in rete). Restiamo in attesa di conoscere, per un confronto, gli interventi che il Governo intende adottare per aggiornare il DM 70/15, nella consapevolezza che, al di là del grosso impegno economico per sostenere l’edilizia sanitaria e la sicurezza delle strutture, occorre ridefinire il vero ruolo dell’ospedale in sinergia e continuità con il territorio, dare una diversa organizzazione e modalità di finanziamento delle strutture ospedaliere ma, soprattutto, occorre rivedere la governance per evitare i continui atti monocratici nelle gestioni delle strutture sanitarie che danneggiano cittadini e professionisti della sanità.

 

Ed è infine proprio il ruolo di questi ultimi che manca nella visione di una nuova sanità che ha l’opportunità, ci ricorda il Ministro, di attuare riforme non in ristrettezze economiche ma in un contesto “espansivo” straordinario (quindi, se non ora, quando?) e tanto dovrebbe essere sufficiente per valorizzare contrattualmente il lavoro di circa un milione di operatori sanitari.

 

Il problema dunque non sta nell’analisi dell’attuale contesto o nella mera elencazione di attività di intervento necessarie, quanto nella possibilità di avviare una controriforma che sia duratura nel tempo, strutturale e sostenibile, e che soprattutto porti ad un vero rilancio del nostro SSN. La Comunità europea chiede credibilità negli interventi da attuare e non una semplice manutenzione, ad alto costo, di ciò che già esiste e che, spesso, non funziona proprio per gli errori di programmazione e di controllo della spesa che hanno caratterizzato l’ultimo ventennio.

 

C’è quindi ancora un ristretto margine di tempo per un confronto e per evitare l’ennesima “deriva” e replicare errori che indirizzino verso le solite “secche”, di cui la stessa Europa potrebbe alla fine chiederci conto.


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