Il cuore delle donne e l’altra metà del cielo in medicina

18 SET – Gentile Direttore,
quando nel ’68 l’Occidente viveva una stagione di proteste sociali e di rivoluzione ideologica, in Oriente Mao sentenziava che “Le donne sorreggono metà del cielo”. Nella nostra società è impossibile fare a meno del lavoro delle donne ed è anche impossibile rinunciare a mantenere un equilibrio demografico compatibile con lo sviluppo e il welfare che conosciamo e vogliamo.

 

In Italia, varie sentenze della Corte Costituzionale hanno rafforzato la parità giuridica delle donne sul lavoro già stabilita dalla Costituzione, pur mettendo in evidenza la necessità che le condizioni di lavoro consentano di svolgere anche le funzioni familiari e in specie quella di madre, e riconoscendo l’importanza di tutti gli interventi legislativi adottati a questo fine, nonché l’evoluzione della giurisprudenza del lavoro e dell’ordinamento comunitario.

 

Anche la Commissione Europea, in occasione della giornata internazionale della donna del 2010 ha adottato la Carta per le donne, che muove dalla premessa che la coesione economica e sociale, la crescita sostenibile e la competitività, le sfide demografiche dipendono da una vera eguaglianza tra uomini e donne.

 

Ma a tutt’oggi è evidente, nonostante i notevoli progressi compiuti verso la parità, che si tratta di un’eguaglianza ancora ostacolata e soprattutto in Italia mancano sufficienti strumenti che permettano alle donne di conciliare professione e famiglia. Un esempio lampante e dalle conseguenze per un intero settore “sociale”, è quello delle donne medico.

 

Oggi in Europa, più della metà dei medici al di sotto dei trentacinque anni di età sono donne. Secondo una ricerca realizzata in trenta Paesi dall’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo, le donne sotto i 35 anni costituiscono il 58 per cento dei medici nel Regno Unito, il 60 per cento in Francia e quasi il 63 per cento in Spagna. Il record spetta all’Italia, con una percentuale superiore al 65 per cento.

 

La decisione di formare una famiglia presenta molte criticità per le donne medico. Il tempo biologico più opportuno per avere un figlio coincide con quella fase della carriera in cui l’impegno è più intenso ed in cui vi possono essere problemi anche di tipo economico. La maggior parte delle donne medico rimanda la gravidanza ad un’età tra i 35 e i 40 anni quando il rischio di infertilità e di malformazioni è più elevato.

 

Il risultato è che in Italia il 44% delle donne medico sotto i 35 anni è single e solo il 44% ha due figli mentre per i medici maschi la percentuale sale al 73.6%. Anche la scelta della specialità è in parte influenzata dal problema di conciliare lavoro e famiglia per cui le donne sono sottorappresentate nelle specialità chirurgiche ed in ortopedia perché i carichi di lavoro sono meno prevedibili anche se in questo caso vi sono anche scelte precise delle donne medico che prediligono specialità con una maggiore opportunità di interazione con il pz. ed un minore contenuto tecnologico. Analogo problema si presenta per la sottorappresentazione nei ruoli di leadership che comportano un investimento orario maggiore anche in attività extracliniche come partecipare a congressi e presentare lavori scientifici.

 

Qui entra in gioco l’inderogabile necessità di prevedere aiuti sostanziali nella cura ed assistenza dei figli piccoli, in particolare la presenza di asili nido nei luoghi di lavoro con orari di apertura che rispecchino quelli dell’attività medica delle madri. Inoltre il part time deve essere favorito e non penalizzato. Già nel 2003, Phyllis Carr ed altri della Harvard University sul Journal of Women’s Health (Characteristics and outcomes for women physicians who work reduced hours – vol.12 n.4) concludevano che le donne medico che lavoravano il loro numero preferito di ore, fosse esso tempo pieno o ridotto, ottenevano il migliore bilanciamento lavoro-famiglia e le migliori soddisfazioni di carriera, riducendo contemporaneamente tutti gli indicatori di stress e burn out. Non molto dissimili le conclusion di un altro studio per quanto riguarda la carriera accademica. Quest’anno, un articolo sul Journal of American Medical Association di Frank e altri (Gender disparities in work and parental status among early career physicians) sottolinea come, nonostante l’aumentato egalitarismo nei ruoli di genere, quasi tre quarti delle donne medico entro 6 anni dalla laurea chiedono o considerano il part-time come unica possibilità di conciliare lavoro e famiglia, confermando che l’organizzazione della vita familiare pesa molto di più sulle spalle delle donne, soprattutto nei primi mesi o anni di vita dei figli.

 

Lavorando in un IRCCS convenzionato con l’Università, ho avuto come allieve moltissime specializzande, alcune poi divenute colleghe, e ne ho sempre apprezzato le caratteristiche di impegno e le capacità di sacrificio. Si gettavano nello studio e nella pratica clinica con entusiasmo pur sapendo che ad un certo punto si sarebbero trovate di fronte a decisioni difficili. Le ho viste poi in un certo senso rinunciare a tutto quello che avevano faticosamente conquistato quando arrivava il momento di crearsi una famiglia ed avere figli.

 

Invece queste colleghe poi ritornavano al lavoro ed in un certo senso dovevano ricominciare tutto daccapo perché le conoscenze crescono oramai ad un ritmo vertiginoso e tenersi aggiornati richiede tempo ed impegno. Senza tenere conto che anche le dinamiche ed i rapporti interpersonali cambiano e reinserirsi dopo un’assenza anche non particolarmente lunga è difficile. Una cosa che io, sinceramente, non sarei stato in grado di fare. Avrei scelto una professione diversa, meno impegnativa con orari più standardizzabili. Come facciano a farlo sinceramente non so, ma anche l’esempio a me vicino di mia moglie e madre dei miei figli contribuisce ad accrescere la mia più profonda e sincera ammirazione.

 

Ma se le cose rimarranno così, rischiamo di perdere un patrimonio di competenze e di energie professionali uniche, necessarie e insostituibili, oltre che di precluderci una via per la crescita del Paese e la sostenibilità del nostro – ancora discreto – welfare.

 

Sergio Barbieri
Direttore U.O.C. Neurofisiopatologia
Fondazione Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico Milano
Vice Presidente CIMO


www.quotidianosanita.it

Seguici su: FacebookTwitter