Contratto ospedalieri, ancora fumata nera. No a salario armonizzato e retribuzione di risultato

Contratto ospedalieri, ancora fumata nera. No a salario armonizzato e retribuzione di risultatoFumata ancora nera per i medici ospedalieri nell’ultima tornata di trattative. Sui fondi di posizione, disagio, risultato, c’è dialettica tra sindacati e Aran e anche in seno ai sindacati. Al tavolo sul rinnovo 2016-18, dunque un contratto che nasce scaduto, la parte pubblica (Aran), con le regioni d’accordo, vorrebbe unificarli, mettendo insieme i fondi di tutta la dirigenza medica. Su questo punto, un 30% dei sindacati in termini di rappresentatività è possibilista, un 70% dice no. Il principio escogitato nell’ultimo “set” è che – secondo tutti – ai fondi va rimessa mano in chiave equitativa e che sul fondo di risultato vanno inserite clausole di garanzia per tutelare le risorse destinate alle singole professioni. Sul fondo di posizione però le proposte di Aran sono peggiorative, almeno per CIMO-FESMED e Anpo-Ascoti.

 

La posizione di Guido Quici, presidente della Federazione Cimo-Fesmed, secondo sindacato della dirigenza medica per rappresentatività, è che «ad alimentare i fondi oggi sono 110 mila medici, 14 mila altri dirigenti sanitari, 5 mila veterinari e 360 dirigenti infermieristici; anche se questi ultimi cresceranno, è chiaro che i maggiori contributori sono i medici ed è scorretto, con la fusione dei fondi tra le categorie professionali della sanità, dirottare su altre professioni le risorse che oggi finanziano la carriera dei medici; in prospettiva, questo significa appiattire le professioni su una carriera unica per tutti. Una delle conseguenze, sarà inoltre quella di consentire ai direttori generali di scegliere figure non mediche per le strutture interne giacché possono pagarne la carriera con fondi dei medici, un meccanismo che scoraggerebbe l’accesso di nuovi medici alla dipendenza Ssn. Implicitamente, si investe in uno smantellamento di questo Ssn a favore di altri sistemi assicurativi. Come sindacato, dopo 10 anni che hanno visto i medici reggere il servizio pubblico a suon di sacrifici, ritengo sia nostro dovere non accettare tali novità peggiorative».

Altre proposte non gradite sono le seguenti: «Il presidente Aran Sergio Gasparrini ci ha detto che la parte sulle relazioni sindacali non si tocca; il resto, nonostante i numerosi emendamenti presentati, sarà aperto solo a ritocchi marginali. Per noi era fondamentale la concertazione sui piani per le emergenze». Sui soldi ci sarebbe un’intesa. «C’è l’aumento sul contratto 2016-18 che arriverà a regime al 3,48% ma solo con il 2019. La nostra media per il 2018 è 3,02. Gran parte di questi 458 milioni totali andrà sulla retribuzione tabellare, con l’intento, immagino, di avvicinare le retribuzioni dei comparti, oggi disomogenee. Il 30%, poco più di 100 milioni, è destinato al Fondo di disagio ma a condizione che incrementi le singole indennità (pronta disponibilità, turni festivi/notturni, straordinari) e non l’intero fondo perché ciò, a nostro avviso, sottende la volontà di alimentare il più possibile la quantità di turni e straordinari per ovviare alle carenze di personale, evitando assunzioni e/o gratifiche a singoli».

Passando al Fondo di posizione, «lo stesso non è finanziato, per cui la giusta rivalutazione della retribuzione di posizione unificata (RPMU), utile ai fini previdenziali, deriva da una sorta di “partita di giro” dove si tolgono risorse da un lato (posizione variabile aziendale) per versarle nell’altro (RPMU). Tutto questo nell’ambito di un fondo di posizione unico tra tutti i dirigenti che deve servire a finanziare la carriera di tutti, visto che nuovi medici non se ne assumono, ma che attingerebbe di fatto a risorse il cui maggior contribuente sono i 110mila medici. Il pieno utilizzo della posizione variabile per finanziare “carriera” e RPMU potrebbe comportare l’azzeramento della variabile aziendale e, addirittura, il ricorso alla retribuzione di risultato, per cui -sottolinea Quici – ci saranno i medici con meno di 5 anni di servizio o coloro che non hanno incarichi ad avere “sorprese” non positive in busta paga».

 

Non è finita. «Quando un giovane medico entra nel Ssn, non ha RPMU per 5 anni, mentre un infermiere riceve con questa voce da subito 728 euro/anno e un operatore sanitario 303 euro/anno. Per i medici gli scatti arrivano dopo, ma questo meccanismo scoraggia ulteriormente l’ingresso in una professione già amareggiata nel proprio rapporto con le aziende del sistema pubblico. Secondo il rapporto Fiaso sulle risorse umane in sanità, il 52% dei neo-inseriti e il 38% dei senior sarebbe pronto a trasferirsi in un’altra azienda…E allora con quali medici faremo il servizio pubblico?» Per Quici, dunque, «La nostra proposta non è stravolgere l’impianto ma avere due Fondi distinti, medici e veterinari ex area 4 da una parte, ed altri sanitari ex area 3 dall’altra. Ma l’Aran ha detto che “l’impianto non si tocca”. Le professionalità di tutti non si discutono, le carriere neppure, ma erodere risorse per favorire alcuni e penalizzare i giovani medici è del tutto inaccettabile».


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