RASSEGNA STAMPA

Trapiantati e aspettativa di vita: avrebbero diritto alla pensione anticipata?

 

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I trapiantati hanno un’ aspettativa di vita più breve della media della popolazione, nonostante i grandi progressi della medicina. Avrebbero diritto alla pensione anticipata? In base ai risultati di alcuni studi internazionali,  lo svantaggio di vita è di almeno 5 anni. Ma il sistema italiano non fa sconti ai malati,  forse perché non hanno un sindacato.

 

Che aspettativa di vita ha una persona trapiantata di fegato, o di rene? Certo molto più alta che se non avesse fatto il trapianto, questo è sicuro; ma senz’altro più bassa rispetto alla media della popolazione. In Italia non ci sono ancora studi attendibili, ma nel nord Europa e negli USA sì.

 

Spiega Vincenzo Bagnardi, docente di Statistica all’università Bicocca di Milano e partner di Niguarda Transplant Foundation nel progetto Biostatistica: “La rivista Hepatology ha pubblicato nel 2015 uno studio condotto su 3299 pazienti del Nord Europa (Finlandia, Svezia, Norvegia e Danimarca), trapiantati di fegato e ancora in vita un anno dopo l’intervento, che quindi avevano superato il periodo a più alto rischio. Ebbene, il loro tasso di sopravvivenza dopo 10 anni dal trapianto, pur essendo alto in assoluto (il 74% sopravvive) è significativamente più basso della popolazione generale nello stesso periodo (95%). Un altro studio, questa volta condotto nel Regno Unito su 3600 trapiantati, evidenziava un’aspettativa da 5 a 15 anni inferiore a quella della popolazione generale della stessa età a seconda della patologia per la quale avevano fatto il trapianto. Infine, uno studio condotto negli USA sempre nel 2015, questa volta su persone trapiantate di rene, evidenzia come la loro vita residua all’età di  65 anni è di almeno cinque anni più breve della media generale. Sarebbe opportuno fare anche in Italia uno studio del genere: i dati storici li abbiamo”. D’altro canto, a oggi  non si conoscono neanche gruppi selezionati di trapiantati con aspettativa di vita sovrapponibile alla popolazione generale.

 

Dunque,  chiedere di andare in pensione qualche anno prima non è certo fuori luogo per i trapiantati, visto che è un beneficio concesso – per citare tre casi – a conducenti di treni, maestre d’asilo e marittimi. Ma si sa, i lavoratori hanno i sindacati, i malati non hanno nessuno.

 

“I trapiantati che lavorano versano i loro contributi come tutti gli altri, ma senza dubbio hanno un’aspettativa di vita più breve della media” riflette Guido Quici, presidente di CIMO, l’associazione dei medici ospedalieri italiani. “Vero è che in alcuni casi beneficiano dell’invalidità, ma è una cosa completamente diversa dalla pensione di un lavoratore. E’ semplicemente un aiuto a persone che vanno incontro a spese significative per le cure a cui si devono sottoporre dopo il trapianto”. L’invalidità riconosciuta ai trapiantati, a seconda della percentuale, dà alcuni benefici, dagli ausili gratuiti fino all’integrazione di reddito, e se superiore al 74%, al riconoscimento di due mesi l’anno di contributi in più, ma solo fino a un massimo di cinque anni. Solo oltre l’80% comporta un anticipo della pensione di vecchiaia, ma solo per i lavoratori privati.