RASSEGNA STAMPA

Legge Bilancio e contratto medici. Intervista al presidente Cimo: “Che fine hanno fatto i soldi che le Regioni avrebbero dovuto accantonare per nostro contratto? Governo faccia verifiche”

 

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Lorenzin ha ragione quando dice che le Regioni avrebbero dovuto accantonare i fondi di loro competenza a questo scopo. Se dovesse perdurare questa impasse, penso che il Governo debba fare apposite verifiche presso le Regioni per capire che fine abbiano fatto quei soldi. A rimetterci non è solo il dipendente del Ssn, ma anche lo stesso cittadino. I medici, a queste codizioni, fuggono sempre più verso la pensione o il privato ed i cittadini si ritrovano ad avere sempre meno servizi. Intervista a Guido Quici 

 

L’Atto di indirizzo così come proposto non va bene, e sulla mancanza di risorse per il rinnovo dei contratti, il Governo faccia le dovute verifiche presso le Regioni per capire che fine hanno fatto i soldi che si sarebbero dovuti accantonare in vista del rinnovo dei contratti. Così il presidente nazionale Cimo, Guido Quici, interviene sui temi caldi della legge di Bilancio e dell’Atto di indirizzo proposto dal Comitato di settore per la dirigenza sanitaria.
 
Presidente Quici cosa ne pensa di questo Atto di indirizzo per la dirigenza sanitaria?
Sui dati contenuti nelle tabelle mi riservo di esprimermi nei prossimi giorni, non vorrei dare giudizi affrettati e preferisco approfondire la questione. Nel testo si parla poi di una revisione del sistema che porti ad una graduale armonizzazione con gli altri comparti della Pubblica Amministrazione con la costituzione di un fondo unico del salario accessorio. Si deve a questo punto però chiarire che fare il Fondo unico non vuol dire che le Aziende andranno a pagare con i soldi nostri gli straordinari dovuti alle carenze di personale invece di retribuire il risultato.
 
Al di là degli aspetti economici, ha riscontrato criticità anche sul piano normativo?
Assolutamente sì, cominciamo a dire che l’Atto si basa sul Patto della Salute. Il Patto della Salute prevedeva però un finanziamento per il Ssn di 116 mld, e non gli attuali 113 mld. Detto questo, nell’Atto di indirizzo per il comparto si parlava di organizzazione per intensità di cure, mentre il nostro si basa su modelli organizzativi delle singole Regione. Lei capirà quanto questi possano essere diversi, ad esempio, tra Campania e Veneto. In questo modo si è riusciti perfino a peggiorare la situazione. C’è poi da aggiungere che su una cosa Ivan Cavicchi ha perfettamente ragione: come ha spiegato ampliamente nella sua critica, anche noi sentiamo forte la ‘puzza’ di comma 566. È del tutto evidente la contraddizione tra l’impegno alla valorizzazione piena della carriera professionale e la assenza delle condizioni economiche necessarie per farlo. Purtroppo c’è chi si accontenta di una ‘medaglia di cartone’ avendo ottenuto più responsabilità e chi invece, manentenedo gli stessi livelli di responsabilità, non può che criticare l’assenza di finanziamenti.
 
Ci sono altri aspetti negativi?
Nell’Atto di indirizzo c’è anche il problema del contratto individuale. Qui non viene mai specificata anche l’indicazione della sede di lavoro. Se non definita, si rischia di non avere una fissa dimora e di fare continue commesse tra diverse strutture distanti anche diversi chilometri le une dalle altre, specie nelle organizzazioni per Aree vaste. E ancora, c’è il problema dell’orario di lavoro con il rischio di trasformare le 38 ore settimanali in orario di lavoro minimo, attraverso deroghe strutturali alle disposizioni legislative europee e nazionali e modifiche peggiorative delle norme contrattuali sulle guardie mediche e sulle pronte disponibilità. Arriviamo alla copertura assicurativa: per fermare la medicina difensiva, si dice che anche nel contratto vanno previste maggiori garanzie ai professionisti anche per ‘accordare maggiori elementi di chiarezza e omogeneità sugli effettivi margini di tutela, avuto riguardo anche ai casi di mobilità tra aziende’. Non si chiarisce, però, se le risorse necessarie verranno messe dalle Aziende o se saranno detratte dai contratti. Una questione non di poco conto visto che diverse Aziende pare non abbiano accantonato le risorse necessarie. Ma su questo si potrebbe facilmente procedere ad una mappatura per avere chiaro il quadro della situazione a livello nazionale.
 
Cosa ne pensa delle misure sull’intramoenia?
Questo è un aspetto positivo. Si abbandonano quelle visioni ‘distorte’ di chi vede nella libera professione la causa dei mali della sanità attribuendo indebitamente a questo il fenomeno delle lunghe liste d’attesa. Per la prima volta, in una sua revisione generale, si apre anche all’assistenza integrativa. Questa può essere resa anche nei confronti del sistema della previdenza integrativa e di quello assicurativo sanitario privato, ma si dovrà prevedere un regolamento ad hoc e comunque andrà perfezionata per quanto riguarda tetti orari e volumi di prestazioni. Il tempo dedicato alla libera professione dovrà in ogni caso essere rimodulato per salvaguardare le esigenze istituzionali.
 
C’è poi il capitolo sul welfare contrattuale.
Vengono proposti schemi di “welfare aziendale” in analogia con le esperienze già da tempo in atto nel settore privato. L’argomento è senza dubbio interessante, bisogna però prima capire se si tratta di vantaggi di natura fiscale che vengono elargiti in assenza di risorse aggiuntive. Dobbiamo quindi capire bene di cosa si tratta prima di dare un giudizio definitivo su questa proposta.
 
Un’ultima domanda sulla legge di Bilancio che ha appena avviato il suo iter parlamentare al Senato. Lei è stato tra i primi a denunciare il “ping pong” tra Ministero della Salute e Regioni per le risorse da destinare al rinnovo dei contratti, come pensa che andrà a finire questa partita?
Innanzitutto penso che Governo e Parlamento possano muoversi per liberare la Ria. Quanto alle risorse per il contratto, Lorenzin ha ragione quando dice che le Regioni avrebbero dovuto accantonare i fondi di loro competenza a questo scopo. Se dovesse perdurare questa impasse, penso che il Governo debba fare le dovute verifiche presso le Regioni per capire che fine abbiano fatto quei soldi. A rimetterci non è solo il dipendente del Ssn, ma anche lo stesso cittadino. I medici, a queste codizioni, fuggono sempre più verso la pensione o il privato ed i cittadini si ritrovano ad avere sempre meno servizi. Sembra si voglia andare verso una sempre più definitiva privatizzazione del sistema sanitario nazionale, da attuare anche attraverso forme di sabotaggio del contratto, visto come una ulteriore tappa di un disegno di inefficientamento del servizio pubblico finalizzato al suo smembramento.
 
Giovanni Rodriquez