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Fuga in avanti rispetto al Patto: avviare un dibattito al ministero (Il Sole 24 Ore Sanità)

Negli ultimi anni in alcune Regioni sono stati attivati modelli organizzativi con i quali venivano affidati a infermieri compiti che fino a quel momento erano riservati ai medici.

L’obiettivo di queste sperimentazioni era economico, in quanto si utilizzava personale a minor costo.

La questione dell’implementazione delle competenze delle professioni sanitarie e di quella infermieristica, è quindi stata portata avanti dal ministero della Salute per definire una norma che portasse al superamento definitivo del mansionario. Il tutto senza alcun coinvolgimento dei medici e delle loro rappresentanze.

Cimo a fronte di questa situazione chiese un confronto serio su tutte le problematiche connesse, in particolare per quanto riguardava la riaffermazione del ruolo del medico nella tutela della salute. Ruolo che si era progressivamente perso dopo che la riforma del 1999 lo aveva trasformato in un «dirigente», omologato a tutta la dirigenza pubblica, senza alcun riconoscimento della peculiarità della professione.

Con un colpo di mano il ministero ha voluto legiferare, peraltro con poche righe non chiarissime, senza ulteriori approfondimenti sui ruoli di tutte le professioni sanitarie.

È difficile capire perché; forse con il comma 566 si è voluto dare una copertura legislativa alle sperimentazioni regionali avviate in questi anni o rispondere a spinte corporative. Il fatto grave è che non si è voluto attendere la delega, prevista dall’articolo 22 del Patto della Salute, che deve ridefinire in modo organico la gestione delle professioni nel Ssn.

La norma che viene fuori dal comma 566 continua a perseverare nell’errore di spacchettare il paziente in atti attribuiti a professionisti diversi. Cimo sostiene da tempo che la responsabilità di tutte le decisioni relative alla salute del paziente, superando un’artificiosa separazione tra attività assistenziale e attività diagnostica terapeutica, non può che essere capo al medico che acquisisce le proprie competenze dopo un percorso formativo di 11 anni.

Ma non è il momento delle guerre tra chi lavora con lo stesso obiettivo, quindi pur condannando questa fuga unilaterale in avanti occorre che il ministero riapra il confronto con i medici.

Riccardo Cassi