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Contratto medici, riprendono trattative in Aran ma ancora nulla di fatto. Sindacati sul piede di guerra: «Risposte o abbandoneremo tavolo»

Tutto rimandato alla riunione del 21 marzo. Quici (Cimo): «Vogliamo certezze sui problemi economici: RIA, emendamento Gelli, aumento del 3,48%. Solo dopo potremo discutere della parte normativa». Palermo (Anaao-Assomed: «Risorse per remunerazione del disagio e carriera professionale, condizioni di lavoro sono peggiorate»

 

di Giovanni Cedrone

 

C’era grande attesa per la ripresa presso l’Aran delle trattative per il rinnovo del contratto della dirigenza medica che manca ormai da dieci anni. Attesa che ben presto si è tramutata in delusione e frustrazione, almeno ascoltando le parole dei sindacalisti. Tutto rimandato dunque al 21 marzo, ma il malumore inizia serpeggiare tra i rappresentanti dei camici bianchi e più d’uno minaccia di abbandonare il tavolo se il 21 marzo non arriveranno le risposte richieste, che sono soprattutto sulla parte economica del contratto, a partire dall’aumento del 3,48% delle retribuzioni dal primo gennaio 2018.

 

«La convocazione si è risolta di fatto con una mera dichiarazione d’intenti da parte di Aran che si è concretizzata semplicemente con una conferma di disponibilità a chiudere questa tornata di rinnovo contrattuale – sottolinea il Presidente AAROI-EMAC Alessandro Vergallo – L’assenza del direttore Gasparini ha condizionato la mancanza di risposte ai quesiti che noi stiamo ponendo in ordine alla certezza in primis sulla disponibilità economica per poter poi avviare la discussione normativa sul nuovo CCNL».

 

Sul piede di guerra Guido Quici, Presidente della neonata Federazione CIMO-FESMED, che parla apertamente di “finzione”: «Si fa finta di tornare alla trattativa. Dopo dieci anni abbiamo tolto il tavolo politico perché non c’erano risposte ai problemi economici, stamattina ci vengono a chiedere a noi le nostre impressioni senza risolvere il problema economico, il problema RIA, il problema Gelli, il problema 3,48%. Però vogliono discutere la parte normativa che è nettamente peggiorativa almeno da quello che c’è stato posto in questi mesi attraverso il tavolo tecnico. Io non so chi è quell’incosciente che andrà a firmare il contratto senza avere certezza di risorse ma avere la garanzia che il peggioramento della qualità del lavoro è dietro l’angolo. Io dico sempre il contratto di lavoro dei medici è la cartina di tornasole per quello che vogliono fare del futuro Servizio sanitario nazionale: se ci credono si impegneranno. La settimana prossima, se non ci sono risposte, io mi alzo e me ne vado».

 

Sulle barricate anche Aldo Grasselli, Presidente della federazione FVM, anche lui polemico con Aran: «Bisogna domandarsi se l’Aran e il Comitato di settore sta cercando di prendere altro tempo per non fare questo contratto e arrivare probabilmente all’autonomia totale delle regioni, immaginando poi ci sarà un contratto regionale per ogni regione. Ma se veramente vogliamo fare questo contratto, oggi avremmo avuto bisogno di alcune risposte chiare che non ci sono state. Aspettiamo la prossima settimana. Nella riunione del 21 marzo è indispensabile, altrimenti penso che abbandoneremo il tavolo, avere delle risposte su domande che abbiamo fatto ormai due anni fa. Qual è la copertura economica tangibile rispetto alla rivalutazione della massa salariale che dovrebbe essere del 3,48% su tutto l’arco del 2018, cosa che è stata riconosciuta al comparto scuola e che non capiamo perché al comparto sanità non venga riconosciuta».

 

Carlo Palermo, Segretario Anaao-Assomed, sottolinea invece due aspetti che nel contratto dovranno in qualche modo essere affrontati: quello delle carriere e della remunerazione del disagio: «La nostra visione anche politica della fase è tale da richiedere una rapida conclusione del contratto, ormai fermo da dieci anni. Ha creato notevoli problemi, le condizioni di lavoro sono peggiorate, le indennità di lavoro disagiato sono assolutamente vergognose, ridicole. La remunerazione del disagio è uno dei problemi principali che sta portando i medici a non scegliere più il lavoro per il servizio sanitario nazionale, preferendo condizioni di lavoro più tranquille e anche più remunerative. L’altro grande problema è quello delle carriere, soprattutto di una carriera professionale: oggi la situazione è tale per cui superati i cinque anni in cui è previsto contrattualmente un primo scatto importante sotto il profilo professionale, dopo i cinque anni c’è il vuoto assoluto. Cioè 80mila dirigenti sanitari non hanno prospettive di crescita economica: non è più un fatto semplicemente corporativo, è un fatto di sistema. Vogliamo dare prospettive di crescita? Questo è un lavoro che si fa solo ed esclusivamente studiando tutti i giorni, aggiornandosi, imparando nuove tecniche, l’uso di mezzi diagnostici, ecc. Bisogna in qualche modo premiare questi aspetti di merito che si trasferiscono in qualità dell’assistenza».

 

«Per fare questo – conclude Palermo – ci vogliono risorse economiche. Noi abbiamo individuate: certamente il 3,48% previsto dall’incremento contrattuale dalle leggi che deve partire dal primo gennaio 2018, certamente vi sono risorse aggiuntive come quelle del comma Gelli, vi sono risorse ulteriori come quelle della RIA che sono risorse interne alla professioni che non richiedono un aggiuntivo intervento dello Stato, si tratta di fare un trasferimento dalla RIA che lasciano i medici che vanno in pensione e trasferirli nei fondi accessori e utilizzarli per i due motivi principali che ho indicato: remunerazione del disagio e carriera professionale».

 

 13 marzo 2019